sabato 13 settembre 2014

Wilhelm Reich's "Dialectical materialism and psychoanalysis" (Materialismo dialettico e psicoanalisi) by Daniela Ripetti P.

                    MATERIALISMO DIALETTICO E PSICOANALISI.
                         Dal IV Capitolo di :
    Attualità, prefigurazioni e limiti del primo Wilhelm Reich
              (Periodo Freudo - Marxista 1920-1936)
                di Daniela Ripetti - Pacchini (1983-'84)

                  
Materialismo dialettico e psicanalisi [1], opera scritta da Reich subito dopo la rottura con il Partito Socialdemocratico Austriaco e all’inizio della sua attività di consulenza nei quartieri popolari di Vienna, è segnata profondamente dal rapporto col pensiero di Marx.
E’ un testo di un certo rigore in cui l’A. si proponeva di dimostrare ai compagni marxisti che la psicoanalisi non è scienza idealista ed è uno dei primi tentativi per trovare il luogo della psicoanalisi all’interno del materialismo storico come disciplina di “mediazione” o “ausiliaria”.
Tale luogo è essenzialmente lo spazio del soggetto e della soggettività.[2]
La psicoanalisi in effetti può apparire per alcuni aspetti “una teoria non soggettivistica della soggettività. Essa infatti non considera il soggetto come un’entità chiusa e limitata, ma come un insieme di rapporti connessi alla storia individuale”[3], anche se, come ho già accennato, l’ottica storica di Freud è debole ed è stato proprio Reich che, non senza contraddizioni, ha dato un più ampio spazio alla ‘storia’ nel divenire del soggetto e della soggettività.


[1] Reich W., Dialektischer Materialismus und Psychoanalyse, prima ed. : “Unter dem Banner des Marxismus” (1929, Sotto la bandiera del marxismo), sec. Ed.: Köbenhavn, Sexpol Verlag, 1934.

[2]  E’ necessario nell’utilizzare termini convenzionali come ‘soggettività’ ‘oggettività’, non creare, come spesso accade, due campi separati di cui non si coglie l’articolarsi complesso. In effetti spesso si è giunti ad un monismo idealistico soggettivo (soggettività piena e incondizionata) o ad un monismo idealistico oggettivo (appiattimento della dialettica per rozzo economicismo), che sono altra cosa, rispetto al monismo materialista complesso (complesso articolarsi della materialità) presente nel marxismo.

[3]  Lorenzer A., Über den Gegenstand der Psychoanalyse: oder Sprache und Interaktion, Frankfurt
   Suhrkamp, am  Main 1973, p. 159.



Caratteristica specifica fra l’altro del ‘marxismo occidentale’[4], è stata proprio quella di spostare l’attenzione dal marxiano rapporto sociale di produzione al ‘soggetto rivoluzionario’ (mentre quello ‘orientale’ l’aveva spostata, in particolare con Stalin, sulla “teoria delle forze produttive”) [5].
Il tema della soggettività che agli inizi del ‘900 si afferma come tema centrale del marxismo occidentale, non poteva non essere affrontato da Reich che proprio sui soggetti del cambiamento lavorava.
Il suo pensiero in rapporto a questo problema, anticiperà per molti aspetti tendenze che si svilupperanno sia in senso negativo che positivo, all’interno del ‘marxismo occidentale’ (dalla Luxemburg, al movimento del ’68, agli esiti dell’operaismo di destra e di sinistra).
Mi riferisco in particolare allo spostamento d’attenzione sul polo della soggettività, che ha comportato non solo l’attenzione (positiva) al soggetto “motore della politica” (schiacciato spesso dall’ “autonomia del politico”) e sulla ‘politicità’ di ciò che tradizionalmente era stato escluso (il corpo, la famiglia, il sapere, la vita quotidiana nei suoi minuzzoli interstiziali…), ma anche una spinta ‘soggettivizzazione’ (negativa), con una eccessiva psicologizzazione dei conflitti sociali ed un forte decentramento del ‘rapporto di produzione’ [6].


[4]  Cfr. il saggio di Costanzo Preve in Alla ricerca della produzione perduta, Edizioni Dedalo, Bari, 1982, in particolare pp. 69-70-71.
[5]  Spostamenti per molti aspetti e, nonostante le apparenze, solidali e complementari (vedi anche il sopra citato articolo di Preve).

[6]  ‘Soggettivismo’ e ‘decentramento’ che hanno comportato, davanti a certe sconfitte operaie, un sfiducia profonda nella possibilità di radicali cambiamenti sociali e spesso e volentieri, l’abbandono del marxismo. Queste tendenze si trovano espresse soprattutto nell’‘ultimo Reich’, ma senz’altro sono già in embrione nel soggettivismo sia della formazione ideologica marxista occidentale a cui l’A. si rapportò, sia nel forte soggettivismo della psicoanalisi ortodossa.



Il discorso di Reich su “psicoanalisi e marxismo”, si inserisce inoltre in modo più o meno diretto nel dibattito su psicoanalisi e marxismo che si svolgeva negli anni ’20 in URSS, nell’ambito del più generale dibattito per la fondazione scientifica della psicologia (ne è in un certo senso l’equivalente occidentale).
Sia Reich, sia gli psicologi sovietici (più o meno favorevoli ad un rapporto con la psicoanalisi) si rendevano conto che un “approccio materialistico alla psiche umana, in grado di comprenderla nella sua specifica natura storico-sociale e che voglia evitare riduzionismi biologistici e metafisici, deve necessariamente orientarsi nella prospettiva marxista e realizzarsi quindi come approccio materialistico-dialettico" [7].
 Mentre però per scienziati come Lurija, la psicoanalisi potrebbe essere considerata “un sistema di psicologia monista” materialista[8] e dunque facilmente integrabile col marxismo, altri validissimi studiosi come Volosinov[9], sostenevano con buone ragioni che la psicoanalisi, soprattutto la psicoanalisi dell’ultimo periodo, era una “variante della psicologia soggettiva” ancora basata su concetti quali sentimenti, rappresentazioni, desideri.

Secondo questi autori, tali categorie, mutuate da Tetens e Kant, verrebbero mantenute dalla psicoanalisi proprio perché in essa i contesti storico-sociali sono sfumati e le spiegazioni del comportamento vengono ricercate in una dimensione intrapsichica.
 


[7] Ponzio A. nell’Introduzione a Freudismo di Volosinov (Dedalo Libri, Bari 1977, p. 11) a proposito del pensiero dell’Autore sovietico.

[8] Lurija A.R., Psichoanaliz kak sistema monisticeskoj psichologii in Psichologjja i marksizm, Leningrado 1925, G.I.S., a; c; d; Kornilov.

[9] Cfr. ad es. il già citato Freudismo di V.N. Volosinov a cui sembra abbia collaborato anche Michail Bachtin, uno dei maggiori teorici russi della letteratura. Purtroppo Volosinov scompare rapidamente dalla scena scientifica nelle purghe staliniane degli anni trenta. I suoi lavori, particolarmente per quanto riguarda la comunicazione linguistica, stupiscono per la modernità.


In essa inoltre verrebbe psicologizzato l’inconscio. Si finirebbe infine per arrivare ad una sottile scissione tra psichico e somatico che allontana sempre di più l’analisi delle modalità comportamentali umane dalle sue basi materiali, neurofisiologiche ed  oggettive-sociali (che devono e possono essere colte nelle loro interrelazioni reciproche [10].
Questo per citare dei limiti evidenziati nella psicoanalisi e ricordare alcune voci emblematiche del dibattito in corso negli anni ‘20. 
Nonostante tali critiche rivolte alla psicoanalisi anche da scienziati e studiosi non marxisti, quasi tutti però si trovano d’accordo nel salvare nella psicoanalisi alcuni concetti che non sono “ipotesi metafisiche”[11], ma che esprimono l’esperienza in termini di “strutture di comportamento” come ad es. i concetti reali e non metaforici di conflitto, di difesa, ecc., oppure si riconosceva il ‘nucleo razionale’ della psicoanalisi secondo cui “lo psichico si definisce mediante il senso”[12] o il fatto che Freud avesse abbozzato un rinnovamento nelle tecniche terapeutiche.


[10] Per quanto riguarda la dimensione psicologico sociale del comportamento, particolare importanza assume lo studio oggettivo della comunicazione linguistica (verbale e non verbale e nei suoi aspetti di ‘contenuto’ e di ‘relazione’) o “pragmatica della comunicazione”, agita nel contesto storico-culturale specifico.

[11] Vedi ad es. Freudismo e per lavori più attuali il già citato L’inconscio del marxista Bassin o “Neuropsicologia e psicoanalisi”in Neuropsicologia dello psichiatra non marxista Gaetano Benedetti.

[12]  La frase è tratta da Dell’Interpretazione. Saggio su Freud (Bompiani, Milano 1966, p. 412) di  Paul Ricoeur, ma essa sintetizza anche alcune idee di Volosinov sul carattere linguistico e dialogico-relazionale della coscienza e dell’inconscio nel pensiero psicoanalitico (anche se Volosinov coglieva i limiti della definizione di tale carattere all’interno del pensiero psicoanalitico).



Secondo Reich invece la teoria freudiana nel suo complesso è una scienza materialistico-dialettica, con solo alcune deviazioni idealistiche, essa ha perciò con il marxismo importanti relazioni.
Reich comunque si guarda bene dal creare una superficiale miscela di Marx e Freud e fin dall’inizio prende le distanze dagli aspetti idealistici della psicoanalisi in primo luogo dalle sue velleità sociologiche. Sono su posizioni metafisiche, secondo Reich, quegli psicoanalisti che praticano una “sociologia selvaggia” applicando con un sorprendente atletismo mentale, il metodo d’analisi individuale a fenomeni sociali.
Scrive Reich: “L’oggetto vero e proprio della psicoanalisi è la vita psichica dell’uomo socializzato. Quella della massa ha importanza per essa solo in quanto si manifestano nella massa fenomeni individuali (per esempio il problema del Capo) e inoltre in quanto essa può chiarire, in base alle sue esperienze sull’individuo, fenomeni dell’ “anima della massa”, quali spavento, panico, ubbidienza ecc. Però sembra che per essa il fenomeno della coscienza di classe sia difficilmente accessibile, e che problemi come quello dei movimenti delle masse, della politica, dello sciopero, che appartengono alla scienza sociologica, non possano essere oggetto del suo metodo; quindi essa non può sostituire la sociologia né produrre una dottrina della sociologia sotto forma di psicologia sociale. Può svelare i motivi irrazionali, che hanno spinto la psiche di un capo ad aderire al movimento socialista o a quello nazionalista; può indagare l’efficacia delle ideologie sociali sullo sviluppo psichico dell’individuo. I critici marxisti hanno ragione quando rimproverano a taluni rappresentanti della psicoanalisi di cercar di chiarire ciò che con questo metodo non può essere chiarito…”.[13]


[13] Reich W., Materialismo dialettico e psicoanalisi, in Psicoanalisi e marxismo, Savelli Ed., Roma 1975, p. 15.



Ma più tardi, in Sull’impiego della psicoanalisi nell’indagine storica del 1934 (saggio scritto in risposta alle critiche di Sapir e ad un saggio di Fromm[14]) aggiungerà:
“Il problema della coscienza di classe una volta non era chiaro. … oggi (però) si possono dare formulazioni più precise … Si è appurato che gli elementi positivi e le forze motrici della coscienza di classe non sono interpretabili psicoanaliticamente, al contrario le inibizioni del suo sviluppo sono da comprendere soltanto psicoanaliticamente, poiché discendono da fonti irrazionali[15]. La psicologia, che giustamente per Reich è sempre sociale, si collocherebbe ai livelli intermedi “tra il processo economico e l’azione dell’uomo” e “quanto più il comportamento è razionale tanto più ristretto è il campo d’indagine della psicologia dell’inconscio;  quanto più è irrazionale, tanto più la sociologia ha bisogno dell’aiuto della psicologia"[16]

Ciò è vero, secondo l’A. in primo luogo per quel che concerne il comportamento delle classi oppresse nella lotta di classe: “Che un operaio o tutta la categoria degli operai industriali tendano ad adeguare la forma di appropriazione alla forma di produzione, non ha bisogno di nessun chiarimento se non del corollario che essi seguono le leggi elementari del principio del piacere e del dispiacere. Ma che la classe oppressa, in larghi strati, accetti o promuova lo sfruttamento in questa o  quella forma, si può spiegare direttamente solo in termini psicologici e indirettamente, mediatamente, in termini sociologici".[17]




[14] I due saggi sono: Sapir I, Freudismo, sociologia, psicologia (a proposito dell’articolo di W. Reich “Materialismo dialettico e psicoanalisi”) del 1929-’30 e E. Fromm, Metodo e compito di una psicologia sociale psicoanalitica del 1932 (Cfr. Psicoanalisi e marxismo, op. cit.).

[15] Reich W., Sull’impiego della psicoanalisi nell’indagine storica, in Psicoanalisi e marxismo, p. 225.

[16] ReichW., Op. cit., p. 233.
[17] Reich W., Op.cit., pp.233-234



“Indirettamente in termini sociologici” - spiega Reich - “perché la soggezione, ad es., nei confronti di un dirigente sindacale riformista è essa stessa il risultato, in ultima analisi di un rapporto sociologico …”.[18]

Il ruolo della psicoanalisi, sarebbe quello di “scoprire le radici istintuali dell’attività sociale dell’individuo e, in virtù della teoria dialettica degli istinti chiarire dettagliatamente le ripercussioni psichiche delle forze produttive nell’individuo, vale a dire la formazione delle idee ‘nella testa degli uomini’. Fra i due estremi, struttura economica della società e sovrastruttura ideologica, le cui relazioni causali la concezione materialistica della storia ha determinato nel loro complesso, la concezione psicoanalitica della psicologia dell’uomo socializzato inserisce una serie di anelli intermedi …”.[19]

Secondo Reich l’ideologia sociale agisce sull’individuo tramite la famiglia, “cellula ideologica” della società e società in miniatura, dove il bambino impara quella sottomissione all’autorità che poi estenderà per generalizzazione a tutti i portatori d’autorità.
E’ su questo anello di trasmissione che la psicoanalisi può dire la sua. 

Però Reich aggiunge: “Nel rapporto edipico non sono soltanto compresi gli

atteggiamenti pulsionali, ma anche il modo in cui il bambino vive il complesso edipico e lo supera.


[18] Reich W., Op. cit., p. 233. In questo testo Reich cerca di evidenziare l’articolazione complessa   (la ‘surdeterminazione’) dei fenomeni, in particolare rispondendo ad Erich Fromm, la cui prospettiva era, ed in genere continuò ad essere, eccessivamente psicologistica.

[19] Reich W.,  Materialismo dialettico e psiconalisi, pp. 43-44.



E ciò è indirettamente condizionato sia dall’ideologia sociale generale, sia dalla posizione dei genitori nel processo produttivo; di conseguenza le sorti del  complesso edipico dipendono in ultima istanza, come tutto il resto, dalla struttura economica della società. Anzi, perfino il fatto che abbia luogo un complesso di Edipo è da ascrivesi alla struttura specifica della famiglia, struttura che è condizionata dalla società”[20].
Come si vede, Reich fa uno sforzo importante per cogliere le ‘surdeterminazioni’ del comportamento dell’uomo e le determinazioni reciproche, le articolazioni complesse tra variabili economiche, ideologiche e psicologiche, pur lasciando al fattore economico (almeno fino al 1935), il ruolo di ‘determinante in ultima istanza’.
Ciò era perfettamente in linea con le affermazioni di Engels, particolarmente quelle espresse nelle Lettere a Bloch, Schmidt e Mehering, che Reich cita a più riprese nei suoi scritti.
Per quanto riguarda il problema dei “livelli intermedi” di competenza della psicologia sociale, c’è da dire che anche marxisti come ad es. Antonio Labriola,. August Bebel, Rosa Luxemburg, G.V. Plekhanov…ed anche lo stesso Lenin, hanno tentato di descrivere il meccanismo secondo il quale si realizza la legge “l’essere sociale determina la coscienza”.[21]
Come scrive Boris Poršnev in La psicologia sociale e la storia: “… la coscienza sociale si compone non soltanto di ideologie..ma anche di psicologia.
La sottovalutazione della psicologia porta a semplicizzare la dottrina sulla
struttura e sovrastruttura...


[20] Reich W., Materialismo dialettico e psicoanalisi, p. 29.

[21] Marx K., Prefazione (del 1859) a Per la critica dell’economia politica, Newton Compton Editori, Roma 1972, p. 31.

… Ad una tale rappresentazione semplicistica, una specie di riflessione speculare della struttura nella sovrastruttura, i pensatori marxisti più attenti hanno sempre contrapposto l’idea che i rapporti socio-economici determinino in linea primaria non l’ideologia ma le stratificazioni più profonde e sistematiche della coscienza sociale”.[22]
Fu G.V. Plekanov (alle cui concezioni Reich si deve essere in qualche modo collegato), che sviluppò la teoria secondo la quale l’anello di congiunzione tra lo sviluppo economico e la storia della cultura in senso lato è rappresentato dai mutamenti che intervengono nella psicologia degli uomini e che sono condizionati dallo sviluppo economico.
Nei Saggi sulla storia del materialismo (1896) Plekanov suddivide la struttura sociale della comunità in cinque elementi interdipendenti: “Il dato livello di sviluppo delle forze produttive, le interrelazioni tra gli uomini nel processo di produzione sociale definito da quel livello di sviluppo; la forma di società che riflette queste interrelazioni tra gli uomini; un determinato stato d’animo e di costume corrispondente a tale forma di società; la religione, la filosofia, la letteratura, l’arte corrispondenti alle capacità, agli orientamenti del gusto e alle tendenze generati da questa situazione”.[23]

Plekanov insiste nell’affermare che senza questo anello chiamato “stato d’animo e di costume” e che altre volte definisce “disposizione predominante dei sensi e degli intelletti”, più in generale definito psicologia sociale, non è possibile  compiere... 
 


[22] Poršnev B.E., La psicologia sociale e la storia, Edizioni Progress, Mosca 1978, pp. 18-19.

[23] Plekanov G.V., Izbrannyje filosofskije proizvedenija (Opere filosofiche scelte), Mosca 1956, vol. II, p. 171.



alcun passo avanti nello studio della storia, della letteratura, della filosofia, dell’arte, ecc. In un altro passo arriva a sintetizzare così il suo pensiero: “Tutte le ideologie hanno un’unica radice comune: la psicologia di quella data epoca”.[24]
Come si può vedere ciò è molto vicino al pensiero di Reich.
Afferma però giustamente Poršnev: “Plekanov ed altri marxisti avevano ragione nell’affermare che questa o quella nuova ideologia non derivano direttamente dai mutamenti economici, ma sorgono sulla base della psicologia sociale…(tuttavia) è giusto anche il contrario: l’ideologia influisce in maniera profondissima sulla psicologia sociale. In altre parole, i due fenomeni interagiscono”.[25]
Anche Reich, sembrava pensarla così, almeno stando ad alcuni passi dei suoi scritti, eppure a mano a mano lascia cadere per strada, anche se non completamente, le prospettive per una lettura articolata della complessa ‘totalità’ sociale.
Progressivamente (ciò è evidente soprattutto negli scritti successivi), Reich finisce per puntare troppo sul ‘soggetto psicoanalitico della piccola storia familiare’ e nel ridurre la complessità delle determinazioni e delle interazioni a questo scenario e/o al flusso indifferenziato della ‘libido-orgone’. Conseguenza, secondo me, (e qui in parte condivido le critiche di Volosinov) dell’aderenza di Reich alla vecchia epistemologia su cui il freudismo era basato. Infatti, se da una parte contestò i limiti...





[24]  Plekanov G.V., op. cit., p. 247.

[25]  Poršnev B.F., op. cit., p. 20.
L’ideologia dominante di un certo contesto sociale si può dire che è surdeterminata sia dal campo economico che dal campo ideologico e giuridico-politico presente e precedente, così come emerge dalla fase della lotta di classe. Essa inoltre è determinata (con lo stesso processo circolare a feed-back) dalle cristallizzazioni dell’ideologia stessa in tendenze alla reazione (‘sets’, tratti caratteriali, forme relazionali, ecc.) predominanti in una determinata classe o gruppi sociali, ‘cristallizzazioni’ che influenzano gli ulteriori sviluppi ideologici.
Inoltre lo stesso contesto è influenzato dalle relazioni circolari che esso ha inevitabilmente con altri contesti sociali.


della psicoanalisi classica, dall’altra ne esasperò certi aspetti (vedi ad es. lo spinto ‘biologismo-metaforico’ finale). Così, se con buona ragione egli inseriva nella teoria della società i problemi di psicologia sociale e ‘la storia minuta’ o ‘microstoria’, non riusciva a mantenersi sempre a livello delle sue intuizioni.
Prevedendo gli scivolamenti del suo pensiero, fece bene perciò Sapir nel 1929-30 a ricordare a Reich, in un saggio in risposta a Materialismo dialettico e psicoanalisi, la complessità delle variabili implicate nel processo sociale.[26]
Oltre alle “condizioni materiali d’esistenza”, i “centri sociali d’influsso ideologico”, il potere dei mass-media, in particolare la forma di comunicazione e di relazione espressa per loro tramite, il problema della “disciplina macchinica”[27] in fabbrica e in altri luoghi di lavoro, le molteplici interrelazioni tra questi e i bisogni sociali storicamente determinati o, per usare un’espressione reichiana, le disposizioni “ancorate” nelle classi e nelle masse …, tutto ciò non poteva essere trascurato da un teorico della società di massa come Wilhelm Reich.
Ma come Reich ha lasciato per strada la ‘surdeterminazione’ del processo sociale, così non ha portato avanti un’organica ricerca sociologica e storica per capire come le realtà economiche si traducano in politica, etica, religione “nelle teste degli uomini” tramite l’anello di trasmissione rappresentato dalla struttura familiare. La riduzione alla dimensione psicoanalitica dei processi sociali non gli ha permesso di cogliere certi fenomeni tendenziali, quali ad esempio, il decentramento che stava...



[26] Sapir I., Freudismus, Sozologie, Psychologie in Unter dem Banner des marxismus (1929-’30), trad. It.: Freudismo, Sociologia, Psicologia in Psicoanalisi e marxismo, op. cit., in particolare pp. 64-5. Sapir nella sua risposta a Reich, muove da un’analisi marxista e le sue osservazioni sono interessanti anche se non prive di schematismo.

[27] Gaudemar J.P., Preliminari per una genealogia delle forme di disciplina nel processo di lavoro capitalistico, in Aut Aut n. 167-168, 1978, La Nuova Italia editrice, Firenze.



iniziando a subire l’antica famiglia patriarcale nella nuova fase capitalistica. Come scrive Werner Brede: “mentre fino all’inizio del nostro secolo il compito di trasmettere e mediare la tradizione era assolto principalmente all’interno della famiglia, ora viene svolto sempre di più da altre istituzioni sociali. Contemporaneamente, con l’evoluzione verso una società ‘senza padri’ (A. Mitscherlich) cambiano i contenuti dell’educazione. Per l’America D. Riesman ha costruito il tipo dell’uomo eterodiretto, che sostituisce quello autodiretto. Analogamente a questo modello, procede anche la descrizione di Horkeimer della transizione dall’educazione borghese a quella di oggi. Mentre nell’epoca borghese la persona e la posizione del padre condizionavano la formazione affettiva e sociale dei figli, con la perdita della sua funzione sociale il padre si vede anche privato del suo ruolo di educatore primo e paradigmatico. La famiglia non è più un ambiente pedagogico chiuso, e fa posto alla società, alla scuola, al gruppo dei coetanei, allo sport e infine ai mass media, che riproducono ancora una volta tutto ciò che sussiste…”.[28]
In effetti la psicoanalisi, nonostante l’importanza di molte sue scoperte, appare insufficiente ad impostare un complesso discorso di psicologia sociale capace di articolarsi con il pensiero marxista. 


[28] Brede W., Prefazione a La società di transizione di Max Horkheimer, G. Einaudi Editore, Torino 1979, pp. IX-X.
La famiglia sempre più decentrata (non certo dall’educazione collettiva di tipo socialista) è relegata spesso e volentieri ad un ruolo di ‘assistenza’ e ‘mutuo soccorso’ nei confronti del singolo, laddove lo stato non riesce a garantire tutti i membri società. 
Da ciò la permanenza di una “morale coattiva e scissa” che contraddice la più o meno implicita ideologia della massima libertà-disponibilità-fluidità del cittadino davanti alla ricchezza-infinita consumabilità-libertà del mercato (Ripetti Pacchini D.1969). Sarebbe lungo discutere qui le scissioni, razionalizzazioni o fantasmatizzazioni che le due “false coscienze” (o subcoscienze) determinano e quanto in questa condizione sia difficile realizzare quella forma di rapporti, di crescita e d’amore che anche Reich auspicava. 




Oltre alla limitata coscienza storica, mancano alla psicoanalisi (ma qui accenno solo il problema) categorie come ad es. quella di comunicazione che le permettano di uscire dalle impasses di una psicologia individuale-monadica.
Il concetto di comunicazione può forse aiutare a capire meglio (al di là di una divisione schematica psicologia-ideologia), come l’organizzazione segnica, la progettazione ideologica, la forma stessa dello scambio comunicativo determinino certi effetti pragmatici ed una sorta di “programmazione neurolinguistica”. (Sono molti a questo proposito i lavori teorici e sperimentali in corso).
Le modalità di programmazione pragmatica ed ideologica negli scambi d’informazione tra soggetto sociale e soggetto sociale, mass media e soggetto sociale, sfuggono in buona parte alla psicoanalisi che è essenzialmente come sostengono anche Watzlawick, Beavin e Jackson, “una teoria dei processi intrapsichici”.[29]
Proprio la debole impostazione storico-sociale e relazionale della psicoanalisi ha permesso quegli scivolamenti e quella sostituzione di categorie oggettive socio-economiche con categorie psichico-soggettive o metaforico-biologiche che Reich condannò a suo tempo come “sociologia selvaggia”, ma da cui lui stesso fu in qualche modo contagiato.
Anche il tentativo fatto da Reich per dimostrare che la psicoanalisi è una scienza dialettica, è piuttosto discutibile. Discutibile in particolare la semplificazione del problema della dialettica che l’A. tende a ridurre ad una formula hegeliana “rovesciata” in modo letterale.


[29] Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Ed. Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971, p. 22.




Per dimostrare la dialetticità della psicoanalisi egli tenta di analizzare sotto l’ottica dialettica e non senza una certa abilità, una serie di concetti e argomentazioni analitiche. Scompone così la teoria psicoanalitica in un certo numero di processi (processo di formazione del sintomo, processi della libido narcisistica e della libido oggettuale, conscio e inconscio ecc.) e sottopone ciascuno di essi ad uno studio isolato. “ma con questo metodo - osserva giustamente Sapir - è possibile presentare come dialettiche e materialistiche se non tutte, almeno numerose teorie assai lontane dal marxismo… La psicoanalisi non è una semplice giustapposizione di alcune grandiose scoperte scientifiche, ma un sistema coerente, i cui diversi elementi hanno un valore ben definito li uni rispetto agli altri. Le cose allora cambiano di molto. Per evitare gli errori, lo studio di ognuno dei principi deve tener conto costantemente della dottrina nel suo insieme, oppure, per lo meno del suo nucleo fondamentale. Ora Reich studia successivamente, e indipendentemente gli uni dagli altri, dapprima il processo di formazione delle nevrosi, poi l’alternanza di piacere e dispiacere, in seguito l’identificazione ecc., e ricerca in ognuno di questi processi gli elementi che illustrano un principio qualsiasi della dialettica. Oppure procede per via inversa (per esempio, la trasformazione della quantità in qualità) e sceglie degli esempi corrispondenti nel materiale psicoanalitico a sua disposizione. Una tale procedura comporta numerosi elementi formali, ma non c’è nulla di più estraneo alla dialettica che il formalismo”.[30]
In effetti anche l’ “estrazione” di alcuni risultati validi del contesto della dottrina psicoanalitica, deve comportare una ricontestualizzazione di tali risultati, come ha...


[30] Sapir I., Freudismo, Sociologi e psicologia, op. cit., p. 82.

fatto notare Althusser a proposito dell’ “estrazione del nucleo razionale” dal pensiero di Hegel.[31]
Comunque la discussione se il pensiero di Freud è dialettico o meno[32], potrebbe continuare per molto e richiederebbe uno spazio che qui non può essere concesso. Primariamente ci sarebbe da discutere soprattutto se e in che termini il materialismo dialettico è valido, in particolare come deve essere inteso il materialismo dialettico.
Questione tutt’ora dibattuta è ad esempio il rapporto intercorrente fra materialismo dialettico e materialismo storico. Mentre per alcuni teorici il materialismo storico sarebbe un caso specifico di applicazione (alla società umana) del materialismo dialettico inteso come universale concezione del mondo, altri respingono questo rapporto di inclusione e subordinazione del materialismo storico al materialismo dialettico. Così ad es. Gramsci sostiene che la dialetticità è peculiare della storicità umana, per cui il materialismo dialettico si identifica e si risolve nel materialismo storico. Oppure vedi gli scritti di Sartre sul metodo dialettico in particolare Critica della ragione dialettica, dove viene criticata la dialettica presa come legge astratta e universale della natura; vedi anche, per citare solo alcuni esempi problematici, gli interessanti saggi di Louis Althusser sulla dialettica. Althusser è contrario ad ogni idea di contraddizione semplice ed alla concezione di ogni rovesciamento puro e semplice dello schema dialettico hegeliano. Egli interpreta invece il processo dialettico come processo “complesso” mosso da contraddizioni complesse e “ineguali” dove si presentano zone di “rottura” più che di “superamento” (“Aufhebung” secondo la dialettica hegeliana).


[31] Cfr. i saggi di Louis Althusser sulla ‘dialettica’ in Per Marx, Editori Riuniti, Roma 1967.

[32] Vedi anche il già citato testo di Volosinov “Freudismo”, compresa l’Introduzione di G. Mininni, in particolare, pp. 35-36.






Ho citato questi casi per mostrare quanto non sia facile valutare la precisa ‘dialetticità’ di una disciplina.
Quello che si può dire a proposito della psicoanalisi è che il concetto di conflitto, centrale nella psicoanalisi, è un concetto sia scientifico, sia un concetto centrale nel marxismo; e perciò bene fa Reich a mettere in evidenza come sia Marx, sia Freud, non trattassero il funzionamento armonioso delle componenti di una totalità, ma gli antagonismi e le contraddizioni che determinano il movimento e il cambiamento nella totalità.
Come bene fa Reich a evidenziare che sia Freud, sia Marx, cercarono ambedue di andare oltre le “razionalizzazioni” (Freud) e la falsa coscienza”(Marx); ed in questo senso il tentativo di promuovere una ‘pratica critica’ attraverso il processo analitico è un fatto non trascurabile.
Reich inoltre, come ho già accennato, dà un notevole contributo alla storicizzazione di alcuni concetti psicoanalitici. In Materialismo dialettico e psicoanalisi, ribadisce il suo tentativo di leggere storicamente l’inconscio e le pulsioni e (come abbiamo visto anche precedentemente) cerca di ridefinire storicamente il complesso di Edipo: “… il complesso di Edipo sembra essere nella teoria psicoanalitica un punto fisso in mezzo a fenomeni mobili. Ma esso può avere due spiegazioni. O il complesso di Edipo viene concepito astoricamente come fatto immutabile, un dato della natura umana. Oppure potrebbe essere che la forma familiare, sulla quale si basa l’odierno complesso edipico, si mantenga da millenni immutata. Jones (Imago, 1928) sembra essere del primo avviso e, in una discussione con Bronislaw Malinowski (Sex and Repression in Savage Society,1927 – ISBN 978-0-41525554-7) sul complesso edipico nella società matriarcale, ha asserito che il complesso di Edipo è fon set origo universale”. 



Reich considera falsa questa concezione, perché presentare come identici in ogni società quei rapporti del bambino con i genitori sorti in una certa realtà sociale, significa teorizzare la immutabilità di tale realtà: “Eternare il complesso di Edipo significa concepire come assoluta ed eterna la forma familiare ad esso soggiacente, il che sarebbe come dire che l’umanità è stata conformata dalla natura così come oggi appare.”

Riferendoci poi agli studi di Malinowski sulla vita sessuale trobriandese egli afferma che l’ipotesi del complesso di Edipo vale per tutte le forme di società patriarcale, ma non per quelle matriarcali dove i rapporti dei figli con i genitori sono così diversi da non giustificare una tale definizione   delle relazioni.
“Secondo Malinowski - continua Reich - il complesso edipico è un fatto socialmente condizionato che cambia forma col cambiare della struttura sociale. Il complesso edipico in una società socialista deve tramontare poiché la sua base sociale, la famiglia patriarcale, tramonta, perde la sua ragione d’essere. E la prevista educazione collettiva dei figli è così sfavorevole alla formazione di atteggiamenti psichici quali si sviluppano nella famiglia oggi, i rapporti dei bambini fra loro e con gli educatori sono così multilaterali e dinamici, che la designazione ‘complesso di Edipo’..perde il suo significato… Il complesso di Edipo appare come un fatto condizionato, almeno nella sua forma, socialmente e in ultima analisi economicamente … Freud, che in Totem e Tabù si basa sulla teoria di Darwin dell’orda primitiva, concepisce il complesso edipico come causa della repressione sessuale. Qui però viene manifestamente trascurata la considerazione della società matriarcale. Secondo la linea interpretativa Bachofen-Morgan-Engels appare la possibilità di concepire, al contrario, il complesso edipico o la forma familiare che .....

ad esso è sottesa, quale conseguenza della repressione sessuale che un tempo si è instaurata”.[33]
Reich discute anche un altro concetto fondamentale nella teoria freudiana, il “principio della realtà”, e critica con molta acutezza l’applicazione astorica e conservatrice che Freud ne aveva fatto e che gran parte degli psicoanalisti ortodossi continuavano a fare. Nella discussione Reich cerca di guardare da un’ottica storica anche al “principio del piacere”:
“Regolatore della vita istintiva è (secondo Freud) il ‘principio del piacere-dispiacere ‘… Tutto ciò che reca piacere attrae e tutto ciò che reca dispiacere allontana, il principio del piacere comporta un movimento e un cambiamento della situazione esistente … Ma il modo di funzionamento dei bisogni umani fondamentali trova la sua forma precisa soltanto attraverso l’esistenza sociale dell’individuo, in quanto quest’ultima limita le soddisfazioni istintuali. Tutte le limitazioni e le costrizioni sociali che riducono i bisogni o ne differiscono le soddisfazioni, sono state conglobate da Freud nella formula del ‘principio della realtà’ … Ma la definizione che il principio di realtà è un’esigenza sociale rimane formalistica, se non comporta   concretamente l’osservazione che il principio della realtà, così come noi lo conosciamo, è il principio della società capitalistica, cioè basata sull’economia privata. Riguardo alla concezione del principio di realtà, nella psicoanalisi vi sono numerose deviazioni idealistiche. Spesso il principio della realtà viene presentato come un dato assoluto. Con l’adattamento alla realtà si intende semplicemente l’adattamento alla società, il che, applicato alla pedagogia o alla terapia delle nevrosi, rappresenta senza dubbio una formulazione conservatrice...


[33] Materialismo dialettico e psicoanalisi,op. cit., pp. 44-45. Vedremo comunque meglio la visione antropologica reichiana, quando parlerò del testo di Reich L’irruzione della morale sessuale.

In concreto : il principio della realtà dell’epoca capitalista esige dal proletariato una forte limitazione dei suoi bisogni, non senza richiamarsi agli obblighi religiosi o morali di umiltà e di modestia. Esso esige anche la forma sessuale monogamica (nella sua forma coattiva) e altre cose ancora. Tutto ciò trova la sua base nei rapporti economici; la classe dominante ha un principio di realtà che serve a mantenere il suo dominio. Educare il proletariato a questo principio di realtà, rappresentarglielo assolutamente valido in nome della cultura significa accettare il suo sfruttamento, accettare la società capitalistica. Occorre chiarire che il concetto della realtà, così come oggi, nella psicoanalisi, viene inteso da molti, corrisponde, anche se inconsciamente, a un atteggiamento conservatore e quindi in contrasto con il carattere obbiettivamente rivoluzionario della psicoanalisi. Il principio della realtà aveva prima altri contenuti e si trasformerà parallelamente all’ordinamento della società. Anche i contenuti concreti del principio del piacere naturalmente non sono assoluti, essi cambiano insieme con l’esistenza sociale … L’ambiente sociale comincia a formare il contenuto del principio del piacere fin dalla nascita …”[34]
C’è da dire inoltre che in Materialismo dialettico e psicoanalisi, Reich sviluppa più apertamente la polemica contro le teorie dell’ ‘Istinto di morte’, a cui manca un fondamento materiale valido, e le altre ipotesi teoriche e speculazioni metafisiche iniziate da Freud con il saggio Al di là del principio del piacere del 1920. In Die Funktion des Orgasmus aveva cercato di evitare la polemica confinando in nota le sue riserve.


[34] Reich W., Materialismo dialettico e psicoanalisi, pp. 22-23-24-25. 

Sul finire del saggio egli critica anche quegli analisti che credono al potere della psicoanalisi di trasformare il mondo mediante un’evoluzione, senza rivoluzione sociale.
Per lui invece la psicoanalisi può svolgere il suo compito rivoluzionario dopo che sia stata fatta la rivoluzione.
Tra il 1929 ed il 1936 Reich cercherà di articolare meglio il processo di cambiamento psicologico, con il processo di lotta e di cambiamento della struttura sociale.
Nonostante i limiti evidenziati, Materialismo dialettico e psicoanalisi rappresenta in occidente uno dei primi e più importanti tentativi di integrare la psicologia del profondo al pensiero marxista. Questo scritto e gli altri che lo hanno seguito hanno influenzato profondamente (benché non sempre venga ammesso) gli studi psicosociologici di Horkheimer, Adorno, Fromm, Marcuse, la Horney … per citare solo alcuni.


                                                                                                                                          
Il Volume Attualità, prefigurazioni e limiti del primo Wilhelm Reich si può trovare presso l’Università degli Studi di Roma ( Facoltà di Psicologia). 
Alcuni estratti di questo mio lavoro sono stati pubblicati sul Giornale Storico di Psicologia Dinamica  (Liguori Editore).
 Per quanto riguarda il tema della soggettività  si veda anche il mio scritto   
“Sospettare il sospetto. Vita quotidiana, cultura del sospetto e uno strano malore: quello della soggettività infelice”, pubblicato su Il Manifesto, 30 maggio 1980.

 © Daniela Ripetti Pacchini

 
 

 
 
 



 




 

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